"Un muover d'occhi languido e pietoso, senza obbiettivo; un riso tenue, onesto, come se fosse studiato; umile il gesto, moderato ogni volta e contegnoso; un atteggiarsi calmo e dignitoso; un posare con grave atto e modesto; un'avvenenza schietta, manifesto segno di grazie in numero copioso; un renitente osare; una dolcezza; un temer non so che; un umor sereno; un lungo rassegnato patimento: tale specie celeste di bellezza ebbe la Circe, che col suo veleno, la mente mi sconvolse e il sentimento."
(autore = ?, versi citati in La Commedia di Dio, di Joao César Monteiro)
"Io andavo alla casa di Circe e, mentre andavo, mi batteva forte il cuore nel petto. Sulla porta della dea dai bei capelli mi fermai e qui emisi un grido, lei udì la mia voce. Subito uscì dalla casa aprendo le porte splendenti e mi invitava ad entrare: la seguii con l'angoscia nel cuore. Mi condusse a sedere su un trono ornato d'argento, prezioso, bellissimo: per i piedi vi era, sotto, uno sgabello. Preparò per me la bevanda in una coppa d'oro, perchè la bevessi, e vi gettò il farmaco, meditando l'inganno nel cuore. (...) Ma quando prese a bollire l'acqua nel bacile lucente, mi fece sedere in una vasca e dal tripode grande me la versava, mescolandola con acqua fredda, sulla testa e sulle spalle, per togliere dalle mie membra la stanchezza mortale. E dopo che mi ebbe lavato e unto di olio, mi fece indossare una tunica e uno splendido manto e mi condusse a sedere su un trono ornato d'argento, prezioso, bellissimo; uno sgabello vi era sotto, per i piedi. L'acqua per i lavacri portava un'ancella e la versava da una splendida brocca d'oro in un bacile d'argento; accanto dispose un tavolo ben levigato. Venne la dispensiera a portare il pane e molte vivande che con larghezza distribuiva. E mi invitava a mangiare. Ma non lo gradiva il mio cuore, sedevo pensando ad altro, prevedevo sventure nell'animo."
Omero, Odissea, Marsilio
30.12.08
29.12.08
28.12.08
"Così parlavo e piangevo nell'amarezza sconfinata del mio cuore affranto. A un tratto dalla casa mia vicina mi giunse una voce, come di fanciullo o fanciulla, non so, che diceva cantando e ripetendo più volte: "Prendi e leggi, prendi e leggi" ("Tolle lege, tolle lege"). Mutai d'aspetto all'istante e cominciai a riflettere con la massima cura se fosse una cantilena usata in qualche gioco di ragazzi, ma non ricordavo affatto di averla udita da nessuna parte. Arginata la piena delle lacrime, mi alzai. L'unica interpretazione possibile era per me che si trattasse di un comando divino ad aprire il libro e a leggere il primo verso che vi avrei trovato. Avevo sentito dire di Antonio che ricevette un monito dal Vangelo, sopraggiungendo per caso mentre si leggeva: "Va', vendi tutte le cose che hai, dàlle ai poveri e avrai un tesoro nei cieli, e vieni, seguimi". Egli lo interpretò come un oracolo indirizzato a se stesso e immediatamente si rivolse a te. Così tornai concitato al luogo dove stava seduto Alipio e dove avevo lasciato il libro dell'Apostolo all'atto di alzarmi. Lo afferrai, lo aprii e lessi tacito il primo versetto su cui mi caddero gli occhi. Diceva: "Non nelle crapule e nell'ebbrezze, non negli amplessi e nelle impudicizie, non nelle contese e nelle invidie, ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo nè assecondate la carne nelle sue concupiscenze". Non volli leggere oltre, nè mi occorreva. Appena terminata infatti la lettura di questa frase, una luce, quasi, di certezza penetrò nel mio cuore e tutte le tenebre del dubbio si dissiparono."
Agostino d'Ippona, Le Confessioni, trad. di Carlo Carena, Einaudi
Agostino d'Ippona, Le Confessioni, trad. di Carlo Carena, Einaudi
26.12.08
Sul nudo
"E veniamo al nudo. (...)Dunque: perchè l'uomo si denuda? Ma è ovvio perchè. Per lavarsi, per cambiarsi d'abito, per fare all'amore. E perchè si veste? Questo è molto meno ovvio. Non basta infatti dire che lo fa per difendersi dal freddo e dal caldo. Ci sono infatti uomini e donne vestitissimi nei climi più torridi e viceversa. Che conclusione trarne? Che c'è nudità dove c'è un rapporto più intimo, più immediato, diciamo pure più naturale con il proprio corpo (e con quello altrui), mentre l'atto del vestirsi comporta un valore simbolico aggiunto che a ben vedere è il valore principale? Insomma, che nudità corrisponde a natura e l'atto del vestirsi invece a cultura? anche qui le cose non sono così semplici come sembra. Certamente l'esser nudi dice qualcosa d'innegabile sulla condizione umana. Sia in senso positivo sia in senso negativo. In senso positivo: nudo è chi si è tolto gli indumenti, che sono artificiali, un di più, e dunque nudo è chi ha una percezione più libera di sè e almeno per certi aspetti più gioiosa, come dimostra il fatto che il piacere sessuale si accompagna solitamente alla nudità. Ma anche in senso negativo: nudo è sinonimo di spogliato della propria seconda pelle, se non della propria dignità, così come è simbolo di inerme, esposto alle intemperie e alle aggressioni degli altri animali, che la natura ha dotato ben altrimenti che l'uomo.
Tuttavia ciò non significa affatto che la nudità sia la nostra condizione naturale. Sarà pure un paradosso, ma la nudità non è per l'uomo uno stato, un modo d'essere primitivo e originario, bensì il risultato di un processo. Non lasciamoci ingannare dal fatto che nasciamo nudi. Il vero atto di nascita, per noi, non è venire al mondo nudi, ma l'essere accolti da qualcuno che si prende cura di noi e ci veste. Così non fosse, l'atto di nascita coinciderebbe con l'atto di morte e non saremmo qui a parlarne. Ben lungi dall'essere la condizione naturale dell'uomo, la nudità è un punto d'arrivo più che un punto di partenza. Tant'è vero che la nudità è sempre una condizione che dobbiamo riconquistare o una condizione a cui siamo costretti.
Riconquista la nudità, con gesti che possono essere molto sofisticati, ma anche inconsapevoli e automatici, l'amante che si accosta all'amato, e appunto di un riconquistare si tratta, un risalire verso fonti dimenticate e sepolte, neanche il corpo desiderato fosse il paradiso perduto. Anche la nudità del naturista è una nudità riconquistata. Ha un bel dire, il naturista, che per lui lo star nudo è quanto di più semplice e spontaneo ci sia. Come non fosse proprio lui a parlarci della necessità di liberarsi dei tabù. O a salutare la caduta di ogni pezzettino di stoffa come un passo verso l'emancipazione. Dunque, quello che addita agli altri è pur sempre un cammino che ha più dell'ascetico che non del festoso. Alla fine del quale si incontra una simulazione di naturalezza per lo meno sospetta.
Quanto alla nudità che non è certo una conquista, ma al contrario un'imposizione, c'è poco da dire. L'uomo che è obbligato a denudarsi, o è denudato a forza, e lasciato in quello stato, patisce violenza ma anche umiliazione. L'atto compiuto su di lui è peggio che disumano. E' disumanizzante. Lo riduce meno che uomo, lui, che animale e soltanto animale non può essere."
Sergio Givone, Prima lezione di estetica, Laterza
Tuttavia ciò non significa affatto che la nudità sia la nostra condizione naturale. Sarà pure un paradosso, ma la nudità non è per l'uomo uno stato, un modo d'essere primitivo e originario, bensì il risultato di un processo. Non lasciamoci ingannare dal fatto che nasciamo nudi. Il vero atto di nascita, per noi, non è venire al mondo nudi, ma l'essere accolti da qualcuno che si prende cura di noi e ci veste. Così non fosse, l'atto di nascita coinciderebbe con l'atto di morte e non saremmo qui a parlarne. Ben lungi dall'essere la condizione naturale dell'uomo, la nudità è un punto d'arrivo più che un punto di partenza. Tant'è vero che la nudità è sempre una condizione che dobbiamo riconquistare o una condizione a cui siamo costretti.
Riconquista la nudità, con gesti che possono essere molto sofisticati, ma anche inconsapevoli e automatici, l'amante che si accosta all'amato, e appunto di un riconquistare si tratta, un risalire verso fonti dimenticate e sepolte, neanche il corpo desiderato fosse il paradiso perduto. Anche la nudità del naturista è una nudità riconquistata. Ha un bel dire, il naturista, che per lui lo star nudo è quanto di più semplice e spontaneo ci sia. Come non fosse proprio lui a parlarci della necessità di liberarsi dei tabù. O a salutare la caduta di ogni pezzettino di stoffa come un passo verso l'emancipazione. Dunque, quello che addita agli altri è pur sempre un cammino che ha più dell'ascetico che non del festoso. Alla fine del quale si incontra una simulazione di naturalezza per lo meno sospetta.
Quanto alla nudità che non è certo una conquista, ma al contrario un'imposizione, c'è poco da dire. L'uomo che è obbligato a denudarsi, o è denudato a forza, e lasciato in quello stato, patisce violenza ma anche umiliazione. L'atto compiuto su di lui è peggio che disumano. E' disumanizzante. Lo riduce meno che uomo, lui, che animale e soltanto animale non può essere."
Sergio Givone, Prima lezione di estetica, Laterza
23.12.08
Because they both interact. Am I right?
"3x".
di Roberto Pugliese
(http://www.myspace.com/childreninbackground)
Dublin, 2008.
18.12.08
"E' tipico dell'insaziabilità, ma anche della veemenza degli anni giovanili, che un fenomeno, un'esperienza, un modello scacci da solo tutti gli altri. Siamo allora ardenti e pronti a espanderci, afferriamo questo e quello, lo rendiamo il nostro idolo, ci assoggettiamo ad esso, aderendovi con una passione che esclude tutti gli altri. E non appena uno ci delude lo facciamo precipitare dalla sua altezza e lo frantumiamo senza esitazioni; non vogliamo essere giusti: ha contato troppo per noi. Tra i frantumi del vecchio idolo insediamo l'idolo nuovo. Importa poco che esso vi si trovi a disagio. Siamo capricciosi e arbitrari con i nostri idoli; non badiamo alla loro sensibilità; esistono per essere innalzati e abbattuti e si susseguono in numero stupefacente, tanto diversi e opposti tra loro che rimarremmo sorpresi se potessimo abbracciarli tutti con un solo sguardo. L'uno o l'altro di essi riesce a diventare un dio, e dunque perdura, viene risparmiato; nessuno gli metterà le mani addosso. Su di esso può agire solo il tempo, non la volontà ostile di qualcuno. Un idolo simile può deteriorarsi o sprofondare a poco a poco nel terreno cedevole: nondimeno, resterà pur sempre pressochè intatto, non perderà la sua forma.
Ci si immagini la distruzione di questo recinto sacrale che un uomo porta in sè quando ha vissuto per un certo numero d'anni. Nessun archeologo riuscirebbe a ricostruirne razionalmente il disegno. Già i simulacri divini rimasti intatti, riconoscibili, formano da sè soli un pantheon enigmatico. E lo scavatore troverebbe poi macerie su macerie, sempre più strane, sempre più fantastiche. Come riuscirebbe a capire perchè proprio queste macerie si sovrappongono a quelle? L'unica cosa che hanno in comune è il modo in cui sono state distrutte: se ne potrebbe dedurre soltanto che là infierì sempre il medesimo barbaro. La cosa più saggia da fare sarebbe non andare a toccare questo recinto sacrale di rovine."
Elias Canetti, "Karl Kraus, scuola di resistenza" in La coscienza delle parole, Adelphi
16.12.08
"Con gli scrittori che non hanno niente da dire, che non hanno un mondo loro proprio, non si parla che di letteratura. Con lui, molto raramente, in realtà quasi mai. Qualunque argomento quotidiano (difficoltà materiali, noie di ogni genere) lo interessa di più - nella conversazione beninteso. Quello che in ogni caso non può sopportare sono domande come: crede che questa o quell'opera sia destinata a durare? Che il tale o il talaltro meriti il posto che ha? Fra X e Y chi sopravviverà, chi è il più grande? Ogni valutazione del genere lo esaspera e lo deprime. "Che significato ha tutto questo?" mi disse dopo una serata particolarmente penosa durante la quale, a tavola, la discussione era stata una sorta di versione grottesca del Giudizio Universale. Lui stesso evita di pronunciarsi sui suoi libri e sui suoi drammi: ciò che gli importa non sono gli ostacoli superati ma gli ostacoli da superare: si identifica totalmente con quello che sta facendo. Se lo si interroga su un dramma, non si soffermerà sul contenuto, sul significato, ma sull'interpretazione, di cui si raffigura i minimi particolari, minuto per minuto, stavo per dire secondo per secondo. Non dimenticherò tanto presto il brio con cui mi spiegò le esigenze che deve soddisfare l'attrice che vuole recitare Not I, in cui una voce trafelata domina da sola lo spazio e vi si sostituisce. Quale bagliore nei suoi occhi quando vedeva quella bocca minuscola eppure dilagante, onnipresente! Si sarebbe detto che assistesse all'ultima metamorfosi, all'estremo capitombolo della Pizia!"
da E.Cioran, Beckett, alcuni incontri, SE
da E.Cioran, Beckett, alcuni incontri, SE