25.2.09











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22.2.09

17.2.09







11.2.09

9.2.09















"Con un'impressione della notte ancora addosso, mi risveglio illanguidito da un pensiero allegro: "Ieri sera, X...era adorabile". E' il ricordo di che cosa? Di ciò che i Greci chiamavano la charis: "lo splendore degli occhi, la bellezza luminosa di un corpo, il fascino dell'essere desiderabile"
(...)
Adorabile
è la traccia insignificante d'una fatica, che è poi la fatica del linguaggio. Una parola dopo l'altra, mi logoro a dire in modo diverso la stessa cosa della mia Immagine, a dire impropriamente quello che è proprio del mio desiderio: un viaggio al termine del quale la mia filosofia ultima non può essere altro che quella di riconoscere - e praticare - la tautologia. E' adorabile ciò che è adorabile. O anche: ti adoro perchè sei adorabile, ti amo perchè ti amo. Ciò che limita così il linguaggio amoroso, è precisamente ciò che lo ha istituito: la fascinazione. Giacchè descrivere la fascinazione non può mai, in fin dei conti, andare al di là di questo enunciato: "io sono affascinato". Avendo raggiunto il limite estremo del linguaggio, là dove, come un disco che si è incantato, esso non può che ripetere la sua ultima parola. Io mi stordisco con la sua affermazione: la tautologia non è forse quella improbabile situazione in cui, con tutti i valori mescolati tra loro, si ritrovano la fine gloriosa dell'operazione logica, l'osceno dell'imbecillità e l'esplosione del nietzschiano?"


Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, Einaudi

6.2.09









"Accade talvolta, ma molto raramente, che si sorprenda sul vivo la trasformazione di un avvenimento in mito. Poco tempo prima dell'ultima guerra, il folclorista rumeno Costantin Brailoiu ebbe occasione di registrare una bellissima ballata in un villaggio di Maramuresh. Si trattava di un amore tragico: il fidanzato era stato stregato da una fata delle montagne e, pochi giorni prima delle nozze, questa fata, per gelosia, l'aveva precipitato dall'alto di una roccia. Il giorno dopo dei pastori avevano trovato il corpo e, su di un albero, il suo cappello. Essi portarono il corpo al villaggio e la fanciulla venne loro incontro: vedendo il suo fidanzato morto ella intonò un lamento funebre pieno di allusioni mitologiche, testo liturgico di frusta bellezza. Questo era il contenuto della ballata. Registrando le varianti che aveva potuto raccogliere, lo studioso si informò del tempo in cui la tragedia era avvenuta: gli venne risposto che si trattava di una storia antichissima che era accaduta "tanto tempo fa". Ma proseguendo la sua inchiesta, lo studioso apprese che l'avvenimento datava appena da quarant'anni; finì anche per scoprire che l'eroina era ancora viva; le fece visita e ascoltò proprio dalla sua bocca la storia. Era una tragedia abbastanza banale: per disattenzione, il suo fidanzato scivolò una sera in un precipizio, non morì subito sul colpo, ma le sue grida furono intese dai montanari; lo si trasportò nel villaggio dove si spense poco tempo dopo. Alla sepoltura la sua fidanzata con le altre donne del villaggio avevano ripetuto i lamenti rituali soliti, senza la minima allusione alla fata delle montagne. Così erano bastati pochi anni, nonostante la presenza del testimone principale, per spogliare l'avvenimento di ogni autenticità storica e per trasformarlo in un racconto leggendario: la fata gelosa, l'assassinio del fidanzato, la scoperta del corpo inanimato, il lamento, ricco di temi mitologici, della fidanzata. Quasi tutto il villaggio era stato presente al fatto autentico, storico, ma questo fatto, come tale, non poteva soddisfarlo: la morte tragica di un fidanzato alla vigilia delle nozze era qualcosa di diverso da una semplice morte per disgrazia; essa aveva un significato occulto che poteva rivelarsi soltanto se integrato nella categoria mitica. La mitizzazione della disgrazia non si era limitata alla creazione di una ballata: si raccontava la storia della fata gelosa anche quando si parlava liberamente, "prosaicamente", della morte del fidanzato. Quando lo studioso attirò l'attenzione degli abitanti del villaggio sulla versione autentica, risposero che la vecchia aveva dimenticato, che il grande dolore le aveva quasi tolto il senno. Il mito diceva la verità: la storia genuina era ormai soltanto menzogna. D'altra parte il mito era effettivamente vero in quanto dava alla storia un suono più profondo e più ricco: rivelava un destino tragico."

Mircea Eliade, Il mito dell'eterno ritorno, Borla
 

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