7.1.09

"Hans si sdraiò al sole sulla riva del lago, mentre io, anzichè fare come lui, mi misi a camminare su e giù lungo la spiaggia. Hans aveva incrociato le mani sotto la testa e teneva gli occhi chiusi. Faceva caldo, il sole era alto, pensai che si fosse addormentato. Così non mi curai di lui e rimasi a passeggiare poco lontano, lungo la riva. La sabbia scricchiolava sotto i miei pesanti scarponi da montagna, mi chiesi se il rumore non l'avesse svegliato e mi voltai verso di lui. Hans aveva gli occhi spalancati e guardava fisso i miei movimenti, con un odio così forte da diventare palpabile. Non ritenendolo capace di un sentimento intenso - proprio di questo in lui si sentiva la mancanza - il suo odio mi stupì e da principio non pensai affatto che fosse rivolto contro di me e potesse avere delle conseguenze. Mi fermai, appoggiandomi al parapetto, vicino all'acqua, in modo da poterlo vedere con la coda dell'occhio: Hans taceva e senza muoversi continuava a guardarmi con gli occhi sbarrati, a poco a poco compresi che l'odio gli impediva di parlare. Il suo silenzio era per me una novità, come il sentimento da cui sembrava dettato. Io non mi opposi, lo rispettai, fra noi le parole avevano perso ogni valore, ce n'eravamo scambiate troppe. Questo stato dev'essersi prolungato per un bel pezzo. Hans era come paralizzato, ma il suo sguardo no, l'intensità di quello sguardo crebbe a tal punto che mi venne in mente la parola "assassinio". Feci qualche passo in direzione del mio zaino, che era rimasto per terra accanto al suo, lo sollevai e senza neppure mettermelo in spalla mi allontanai. Egli vide che gli zaini non erano più vicini, si sciolse dalla sua rigidità e alzandosi in piedi con un balzo prese il suo. In un attimo lo vidi per via, come lama aperta di un coltello, che scendeva a gran passi, senza degnarmi di uno sguardo, la strada per Jenbach."

Elias Canetti, Il frutto del fuoco - Storia di una vita (1921-1931), Adelphi

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