3.7.09

Un affetto e la vita


Ho un affetto più grande di qualsiasi amore

su cui esporre inutilizzabili deduzioni

Tutte le esperienze dell'amore

sono infatti rese misteriose da quell'affetto

in cui si ripetono identiche.

Sono legato ad esso

perché me ne impedisce altri.

Ma sono libero perché sono un po' più libero da me stesso.

La vita perde intresse perché si è ridotta a un teatro

in cui le fasi di questo affetto si svolgono:

e così ho perso l'ebbrezza di avere strade sconosciute

da prendere ogni sera

(al vecchio vento che annuncia cambiamenti di ore e stagioni).

Ma che ebbrezza nel poter dire: "Io non viaggio più".

Tutto è monotono perché in tutto non c'è altro

che un certo luccichio di occhi,

un certo modo di correre un po' buffo,

un certo modo di dire "Paolo", e un certo modo

di straziare a causa della rassegnazione.

Ma tutto è messo in forse dal terrore che qualcosa cambi.

In ogni amore c'è la fusione tra la persona che si ama

e qualcun altro: ma ciò è naturale. Nell'affetto

ciò sembra invece così: innaturale:

la fusione avviene a tali profondità

che non è possibile darne spiegazioni, trarne motivi

per congratularsi, comunque essa sia, della propria sorte.

La tenerezza che tale affetto impone

al profondo, non conduce né a fecondare

né a essere fecondati, anche se per gioco;

eppure si soccombe ad esso

con lo stesso senso di precipitare nel vuoto

che si prova gettando il seme, quando si muore

e si diventa padri. Infine (ma quante altre

cose si potrebbero ancora dire..!),

benché sembri assurdo, per un simile affetto,

si potrebbe anche dare la vita. Anzi, io credo

che questo affetto altro non sia che un pretesto

per sapere di avere una possibilità - l'unica -

di disfarsi senza dolore di se stessi.

(P.P. Pasolini)
 

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